Libro con copertina morbida, pag. 304.
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Vuoi sapere che folle corsa ha fatto l'Italia accogliendo e ospitando fino a riempire le sue città e le sue contrade di immigrati di ogni provenienza, di diverse etnie e di decine di fedi religiose (20 a Milano)? Leggendo questo libro potrai scoprire che cosa si sarebbe potuto e dovuto fare e si potrebbe fare e non si è fatto e si è continuato a non fare. Potrai pure scoprire con quale leggerezza e superficialità e indifferenza si è giunti quasi al collasso.
omissis
Alla situazione in cui era l’Italia nel 2015 si giunse in poco meno
di quattro decenni e il processo, quando ebbe inizio, non destò
timori. Non si previde l’eccessiva crescita numerica di stranieri e
si fece ben poco per contenerla. Il Paese era impreparato.
L’esperienza che faceva era nuova. Fino agli anni settanta del
novecento aveva alimentato un continuo e nutrito flusso di
emigranti, circa 24 milioni in un secolo dal 1876 al 1976, mentre il
numero di stranieri sul suo territorio era stato esiguo, di poche
migliaia. Nei primi anni settanta il rapporto si capovolse. Nel 1973
il numero degli immigrati superava dell’1% quello degli emigrati e
alla fine degli anni settanta, l’afflusso e la presenza di immigrati
cominciarono a farsi notare, essendo aumentati sensibilmente, sia
perché l’Italia aveva lasciato «le porte aperte», sia perché altri
Stati della Comunità europea cominciavano allora a rendere meno
accessibili le loro frontiere. Sicché, mentre l’Italia in quegli
anni cominciava a subire l’afflusso e la presenza di immigrati che
erano un’assoluta novità, altri Stati della Comunità europea, come
la Francia, la Germania, il Belgio, l’Olanda, il Regno Unito,
avevano sperimentato quell’afflusso da molti anni e ospitavano un
elevato numero di stranieri, fino ad essere, alcuni di essi,
pressoché saturi. Erano Stati ex colonizzatori e avevano accolto
tanti immigrati sia per il rapporto che avevano avuto con le loro ex
colonie, sia per sopperire a vuoti di manodopera e sostenere la
crescita economica. Intanto, in quegli anni del novecento, andò
crescendo l’esigenza di liberalizzare l’area della Comunità europea.
Ma per riuscirci occorrevano competenze che alcuni Stati membri non
ritennero indicate nel Trattato di Roma. Oltre a liberalizzare e ad
abolire le frontiere tra gli Stati bisognava regolarizzare materie
inerenti all’amministrazione, alla società, all’economia, all’ordine
pubblico; materie che non erano contemplate nel Trattato di Roma.
Per poterle trattare bisognava uscire dall’ambito della Comunità e
agire mediante la cooperazione tra i governi degli Stati, che
escludeva qualsiasi controllo della Comunità e dei singoli
parlamenti nazionali. Si formarono diversi gruppi di cooperazione
che si occupavano di materie diverse, dalla criminalità, alla droga,
alle dogane, agli organi e alle funzioni dell’amministrazione. Si
giunse quindi all’Atto Unico che, firmato il 17 febbraio 1986, entrò
in vigore l’1 luglio 1987 e indicò la meta cui puntare mediante
accordi intergovernativi per regolarizzare le diverse materie e
realizzare la liberalizzazione all’interno della Comunità e la
difesa delle sue frontiere esterne. Mentre i dodici Stati della
Comunità cercavano l’accordo che sarebbe sfociato nell’Atto Unico
europeo, cinque di essi, Germania, Francia, Belgio, Olanda e
Lussemburgo, costituirono un importante nucleo di cooperazione
intergovernativa. Il 14 giugno 1985 nella città lussemburghese di
Schengen giunsero a un accordo con il quale si impegnarono ad
eliminare entro il 1990 i controlli alle frontiere tra i cinque
Stati e a esercitarli alle frontiere esterne. Sorse così un’Area
all’interno della Comunità europea circoscritta al territorio di
quei Paesi, entro la quale i cinque membri della Comunità mirarono a
realizzare il libero movimento di persone e di merci limitato ai
propri cittadini e, nello stesso tempo, a garantirne la
realizzazione mediante il controllo dell’afflusso di persone da
Paesi terzi e dell’accesso di quanto era illegale, dall’immigrazione
clandestina alla droga, alla criminalità, al terrorismo. Fecero così
delle frontiere esterne un filtro molto fitto, attraverso il quale
doveva passare quanto era consentito e soprattutto quella parte di
migranti che potevano fruire dei diritti umani. I cinque Paesi, che
avevano già accolto milioni di migranti di cui cominciavano a
sentire il peso eccessivo, mirarono così a porre un limite al loro
ingresso nell’area che avevano formata. Con l’accordo di Schengen si
mossero in questa direzione. Non riuscirono però a conseguire
interamente lo scopo che si erano prefisso entro il termine
stabilito. Nel 1990 i controlli alle frontiere interne all’area non
erano stati aboliti. I cinque Stati fecero una convenzione con cui
stabilirono di applicare i vari punti degli accordi presi a Schengen
cinque anni prima. Ma anche la convenzione avrà attuazione con
ritardo: entrerà in vigore cinque anni dopo, il 26 marzo 1995. In
essa i cinque Paesi disposero di eliminare i controlli sulle persone
e di ridurre quelli sulle merci alle frontiere interne nonché di
accrescere l’efficacia dei controlli di sicurezza e dei procedimenti
penali all’interno dell’Area. Ma soprattutto accrebbero i controlli
alle frontiere esterne dell’intera Area e vollero che ognuno dei
singoli Stati componenti l’Area esercitasse un efficace controllo
dell’immigrazione clandestina e irregolare e degli abusi del diritto
d’asilo di profughi e rifugiati. Alle frontiere esterne e ai
controlli da esercitare sull’immigrazione clandestina e irregolare e
sul diritto d’asilo, nella convenzione è dedicata la maggior parte
degli articoli, dal 3 al 38, e dei capitoli, dal 2 al 7. […]
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omissis
Negli anni ottanta del novecento il flusso di migranti giungeva in
Italia specialmente dal Marocco; un decennio dopo dall’Albania; nel
primo decennio del duemila dalla Tunisia, dalla Libia e da altri
Stati del Maghreb; dopo la Primavera araba specialmente dalla Libia
e poi anche dall’Egitto; e dal 2014, dopo un certo controllo
esercitato dal nuovo regime in quest’ultimo Stato, anche dalla
Turchia e dalla Grecia. Barconi e gommoni, con centinaia di
migranti, quasi ogni giorno solcavano il Mediterraneo e specialmente
il Canale di Sicilia e il Mare Adriatico. Anche a causa del
maltempo, alcune imbarcazioni sovraccariche non giungevano a
destinazione e molti migranti perivano inghiottiti dalle onde. Dopo
uno dei più disastrosi di quei naufragi parve doveroso evitare altre
perdite di vite umane con un’azione umanitaria. L’Italia non si
sottrasse e si assunse il compito e l’onere. Il parlamento e il
governo deliberarono il da fare e, nell’ottobre 2013, ebbe inizio
nel Mediterraneo l’operazione di soccorso Mare Nostrum. Da allora
navi e mezzi italiani anche della Marina militare accorsero a ogni
richiesta di aiuto e a ogni segnalazione della presenza di
imbarcazioni in difficoltà. Soccorsero molte di quelle imbarcazioni
evitandone il naufragio, ne rilevarono il carico umano, effettuarono
una rapida e il più possibile accurata selezione di tanta gente
spesso senza identità nel tentativo di individuare quella avente
diritto all’asilo, assistettero quei nuovi venuti dopo averli
soccorsi e salvati e li accompagnarono nei porti italiani. Mare
Nostrum operò da sola finché durarono le disponibilità con cui
l’Italia la mantenne e finché non fu affiancata e presto sostituita
da un’altra piccola flotta. Oltre un anno dopo l’inizio
dell’attività, nel novembre 2014 l’Unione Europea estese al
Mediterraneo le operazioni dell’agenzia Frontex in azione lungo le
sue frontiere. Triton, la piccola flotta che iniziò a operare, ebbe
il compito di esercitare un controllo della striscia di mare larga
trenta miglia lungo le coste dell’Italia meridionale e insulare.
Mare Nostrum, in dimensioni ridotte, continuò per poco a svolgere la
sua consueta attività di soccorso e di salvataggio in un più esteso
tratto di mare al di là della striscia controllata. Nell’estate 2014
l’Italia continuava a subire le ondate di migranti che arrivavano da
tutte le parti. Sembrava impossibile frenare e contenere il loro
afflusso e impedire l’occupazione delle sue città e delle sue
contrade stracolme. La sua amministrazione e le forze di cui
disponeva erano condizionate e bloccate dalle sue inefficaci leggi e
da trattati, regolamenti e accordi europei e internazionali. Il
Paese era colmo. La situazione era insostenibile. Ma politici e
opinionisti non se ne davano pensiero. Il19 gennaio 2015, in un
dibattito televisivo, un politico italiano che era stato presidente
del Consiglio faceva rilevare all’interlocutore francese i meriti
dell’Italia che aveva provveduto nel tempo a regolare i flussi e a
stabilire le quote di immigrati. E il ministro della Difesa spiegava
allo stesso interlocutore che il governo italiano aveva il merito di
avere provveduto negli anni a controllare i «flussi», a stabilire
«regole» e a fissare le «quote» di accesso dei migranti. Riferendosi
poi all’operazione Mare Nostrum, elogiava l’efficace controllo
esercitato con scrupoloso rigore sulle navi della Marina militare. E
opponeva tutto ciò alla tesi del politico francese, che faceva
invece notare quanto temibile fosse la presenza in Europa di milioni
di immigrati e quanto grave fosse la colpa dei governi europei, la
cui mala politica non provvide mai a impedirne l’accesso. Il compito
svolto da Mare Nostrum e poi anche da Triton fu encomiabile. Mare
Nostrum ebbe il merito di salvare molte vite umane compiendo azioni
umanitarie in ossequio ai diritti umani e al diritto di asilo. Il
soccorso che prestò riscosse il plauso non solo in Italia. Ma si può
dire che le tante lodi che riceveva non compensavano certo il grave
nocumento che arrecava al Paese. Quando nell’ottobre 2014 l’Unione
Europea propose al Regno Unito di associarsi alla decisione di
affiancare Triton a Mare Nostrum nel Mediterraneo, il primo ministro
inglese Cameron rifiutò categoricamente di aderire all’invito. A suo
avviso le due operazioni sarebbero state solo un incentivo
all’immigrazione, come lo era stato fino allora Mare Nostrum. Il
soccorso che le navi delle due flotte avrebbero dato alle
imbarcazioni dirette in Italia cariche di migranti, sarebbe stato
non un freno, ma uno stimolo, un incoraggiamento per altri
innumerevoli migranti in attesa specialmente sulle coste dell’Africa
e desiderosi di salpare e di raggiungere l’Italia e l’Europa. Queste
ragioni opposte dal primo ministro inglese trovavano riscontro nei
fatti. Per provarne la fondatezza bastava osservare il frenetico
aumento del numero di migranti che erano giunti in Italia attraverso
il Mediterraneo specialmente negli ultimi mesi del 2013 e nel 2014,
quando aveva operato Mare Nostrum. Intanto l’immigrazione continuava
ad affluire senza interruzione e più di prima e le navi della Marina
italiana continuavano a soccorrere i migranti fin sotto le coste
della Libia e li portavano in Italia. E tutto ciò avveniva anche
dopo che si seppe da informazioni provenienti da Londra che gli
estremisti islamici progettavano di inviare dalla Libia terroristi e
farli entrare in Italia nella veste di profughi misti agli altri
innumerevoli migranti. All’inizio del 2015 […].
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