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L'integrazione

Libro con copertina morbida, pag. 168.


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È possibile l’integrazione nella società occidentale di milioni di immigrati della più eterogenea estrazione e provenienza? Di quale integrazione parlano politici, intellettuali e umanitari? Si riferiscono a un’integrazione formale o sostanziale? Si può conseguire una minima integrazione mediante la conoscenza della lingua e delle leggi? Nei paesi occidentali, dalla Francia al Regno Unito, alla Germania, agli Stati Uniti, hanno avuto successo i progetti di integrazione, di assimilazione, l’egualitarismo, il multiculturalismo, il metodo pluralistico angloamericano e il metodo separatista tedesco? In questo libro l’autore risponde a queste e ad altre domande.


omissis

Dal secondo secolo avanti Cristo, Roma e la penisola italica si andarono ritrovando in una situazione analoga a quella in cui, dalla seconda metà del novecento, si stanno inoltrando i paesi occidentali.
La costituzione di latifondi a scapito della piccola e media azienda agricola, l’aumento della ricchezza di pochi e della povertà di molti, la diffusione del malcostume furono principali cause dello spopolamento di città e campagne. Molti romani, latini e italici trovavano conveniente servire la Repubblica e poi l’Impero come soldati e amministratori nelle lontane province, da dove in gran parte non facevano più ritorno, e molti altri vi si recavano come mercanti e avventurieri. Intanto aumentavano la corruzione del costume e le comodità. Negli ultimi decenni della Repubblica si fecero evidenti profondi cambiamenti. Diminuiva la popolazione rurale, scomparivano le piccole proprietà terriere e si formavano estesi latifondi. La differenza tra la grande ricchezza e l’estrema povertà diveniva abissale. Le strutture pubbliche della capitale erano in rovina. Il lusso, l’immoralità e l’indebitamento erano requisiti delle grandi e ricche famiglie, un tempo costumate. Generale era l’avversione al matrimonio e assai frequenti erano i matrimoni senza prole specialmente tra i ricchi che, a differenza dei loro antichi predecessori, erano persuasi di dovere conservare il patrimonio procreando il meno possibile. La bassissima procreazione, dovuta anche all’emancipazione della donna, e l’espatrio di molti italici dediti alle armi, all’amministrazione e al commercio, produssero l’assottigliarsi della popolazione autoctona. Il capitale rovinava così un grande Paese, come aveva rovinato la Grecia e Cartagine, annientando il medio ceto sociale e la piccola proprietà agricola, accrescendo i latifondi, radicando e diffondendo il marcio e la corruzione morale, politica e razziale e accentuando la mancanza della gioia di vivere. Allora, nella città di Roma e in altre città e contrade d’Italia, il capitale e il profitto attirarono innumerevoli individui provenienti da ogni parte del mondo. Allo spopolamento di cittadini italici fece riscontro l’afflusso e la prolificazione di immigrati, destinati a colmare il vuoto demografico e produttivo. La penisola si spopolava di cittadini romani e italici e si faceva sempre più rara la disponibilità di manodopera. Il vuoto demografico e la scarsezza di liberi prestatori d’opera andarono aumentando e, per sopperirvi e per soddisfare le esigenze del capitale e del profitto, si fece ricorso all’immigrazione di individui di tutte le razze, dalle provenienze più diverse. Il loro afflusso fu crescente e fu reso necessario dal bisogno di impiegare il loro lavoro, in buona parte coatto, nella coltivazione della terra, nella conduzione dei latifondi e nel servizio nelle case delle ricche famiglie originariamente romane e italiche. La penisola si andò popolando di individui in gran parte servi. Tra il primo secolo avanti Cristo e il primo secolo dopo Cristo, al tempo di Cesare e di Augusto, nella città di Roma la popolazione era composta in gran parte di individui di origine non romana, non latina e non italica. [...]
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omissis

Nel primo decennio del duemila prevale in Occidente la persuasione che gli immigrati e i loro discendenti non avranno mai il sopravvento sulla popolazione esistente. È pure diffusa la persuasione che la loro presenza, anche se crescente, non produrrà mai radicale sconvolgimento. Si sostiene, al contrario, che tanti immigrati e i loro discendenti sono utili, sono irrinunciabile fonte di ricchezza, e che non possono essere causa di turbamento, sia perché saranno assimilati culturalmente e sia perché faranno sempre parte della fascia sociale composta di dipendenti e di esecutori delle direttive e degli ordini dei quadri dirigenti composti di autoctoni. Queste persuasioni tanto attraenti e fatteproprie da politicanti tuttologi che definiscono «stronzi» quanti pensano il contrario, non tengono conto di quanto possa fare temere il peggio. Non sospettano nemmeno che l’auspicato completamento della società multietnica, anche se avviene in modo ottimale, cioè con l’utile contributo della scuola e dell’integrazione, possa partorire una comunità senz’anima, senza unità sostanziale e tenuta insieme solo dalle istituzioni, finché non muteranno anch’esse. Non immaginano che una società, in cui affluisce e si moltiplica esponenzialmente un gran numero di individui di molto diversa provenienza, razza, mentalità e religione, possa divenire assai diversa da quella che essi auspicano. Non prevedono che il modo di essere e di vivere di tanti individui e gruppi eterogenei e in aumento numerico possa influire su quello della popolazione esistente in diminuzione numerica fino a sconvolgerne l’esistenza. Non temono che il completamento della società multietnica tanto caldeggiato possa rivelarsi un generale sconvolgimento. Questo timore non assilla certo la mente di molti occidentali e specialmente quella di politicanti e opinionisti progressisti. Tanti benpensanti escludono che il futuro dell’Occidente possa essere così funesto. Non degnano della minima […]
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