È possibile l’integrazione nella società occidentale di milioni di immigrati della più eterogenea estrazione e provenienza? Di quale integrazione parlano politici, intellettuali e umanitari? Si riferiscono a un’integrazione formale o sostanziale? Si può conseguire una minima integrazione mediante la conoscenza della lingua e delle leggi? Nei paesi occidentali, dalla Francia al Regno Unito, alla Germania, agli Stati Uniti, hanno avuto successo i progetti di integrazione, di assimilazione, l’egualitarismo, il multiculturalismo, il metodo pluralistico angloamericano e il metodo separatista tedesco? In questo libro l’autore risponde a queste e ad altre domande.
omissis
Dal secondo secolo avanti Cristo, Roma e la penisola italica si
andarono ritrovando in una situazione analoga a quella in cui, dalla
seconda metà del novecento, si stanno inoltrando i paesi
occidentali.
La costituzione di latifondi a scapito della piccola e media azienda
agricola, l’aumento della ricchezza di pochi e della povertà di
molti, la diffusione del malcostume furono principali cause dello
spopolamento di città e campagne. Molti romani, latini e italici
trovavano conveniente servire la Repubblica e poi l’Impero come
soldati e amministratori nelle lontane province, da dove in gran
parte non facevano più ritorno, e molti altri vi si recavano come
mercanti e avventurieri. Intanto aumentavano la corruzione del
costume e le comodità. Negli ultimi decenni della Repubblica si
fecero evidenti profondi cambiamenti. Diminuiva la popolazione
rurale, scomparivano le piccole proprietà terriere e si formavano
estesi latifondi. La differenza tra la grande ricchezza e l’estrema
povertà diveniva abissale. Le strutture pubbliche della capitale
erano in rovina. Il lusso, l’immoralità e l’indebitamento erano
requisiti delle grandi e ricche famiglie, un tempo costumate.
Generale era l’avversione al matrimonio e assai frequenti erano i
matrimoni senza prole specialmente tra i ricchi che, a differenza
dei loro antichi predecessori, erano persuasi di dovere conservare
il patrimonio procreando il meno possibile. La bassissima
procreazione, dovuta anche all’emancipazione della donna, e
l’espatrio di molti italici dediti alle armi, all’amministrazione e
al commercio, produssero l’assottigliarsi della popolazione
autoctona. Il capitale rovinava così un grande Paese, come aveva
rovinato la Grecia e Cartagine, annientando il medio ceto sociale e
la piccola proprietà agricola, accrescendo i latifondi, radicando e
diffondendo il marcio e la corruzione morale, politica e razziale e
accentuando la mancanza della gioia di vivere. Allora, nella città
di Roma e in altre città e contrade d’Italia, il capitale e il
profitto attirarono innumerevoli individui provenienti da ogni parte
del mondo. Allo spopolamento di cittadini italici fece riscontro
l’afflusso e la prolificazione di immigrati, destinati a colmare il
vuoto demografico e produttivo. La penisola si spopolava di
cittadini romani e italici e si faceva sempre più rara la
disponibilità di manodopera. Il vuoto demografico e la scarsezza di
liberi prestatori d’opera andarono aumentando e, per sopperirvi e
per soddisfare le esigenze del capitale e del profitto, si fece
ricorso all’immigrazione di individui di tutte le razze, dalle
provenienze più diverse. Il loro afflusso fu crescente e fu reso
necessario dal bisogno di impiegare il loro lavoro, in buona parte
coatto, nella coltivazione della terra, nella conduzione dei
latifondi e nel servizio nelle case delle ricche famiglie
originariamente romane e italiche. La penisola si andò popolando di
individui in gran parte servi. Tra il primo secolo avanti Cristo e
il primo secolo dopo Cristo, al tempo di Cesare e di Augusto, nella
città di Roma la popolazione era composta in gran parte di individui
di origine non romana, non latina e non italica. [...]
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omissis
Nel primo decennio del duemila prevale in Occidente la persuasione
che gli immigrati e i loro discendenti non avranno mai il
sopravvento sulla popolazione esistente. È pure diffusa la
persuasione che la loro presenza, anche se crescente, non produrrà
mai radicale sconvolgimento. Si sostiene, al contrario, che tanti
immigrati e i loro discendenti sono utili, sono irrinunciabile fonte
di ricchezza, e che non possono essere causa di turbamento, sia
perché saranno assimilati culturalmente e sia perché faranno sempre
parte della fascia sociale composta di dipendenti e di esecutori
delle direttive e degli ordini dei quadri dirigenti composti di
autoctoni. Queste persuasioni tanto attraenti e fatteproprie da
politicanti tuttologi che definiscono «stronzi» quanti pensano il
contrario, non tengono conto di quanto possa fare temere il peggio.
Non sospettano nemmeno che l’auspicato completamento della società
multietnica, anche se avviene in modo ottimale, cioè con l’utile
contributo della scuola e dell’integrazione, possa partorire una
comunità senz’anima, senza unità sostanziale e tenuta insieme solo
dalle istituzioni, finché non muteranno anch’esse. Non immaginano
che una società, in cui affluisce e si moltiplica esponenzialmente
un gran numero di individui di molto diversa provenienza, razza,
mentalità e religione, possa divenire assai diversa da quella che
essi auspicano. Non prevedono che il modo di essere e di vivere di
tanti individui e gruppi eterogenei e in aumento numerico possa
influire su quello della popolazione esistente in diminuzione
numerica fino a sconvolgerne l’esistenza. Non temono che il
completamento della società multietnica tanto caldeggiato possa
rivelarsi un generale sconvolgimento. Questo timore non assilla
certo la mente di molti occidentali e specialmente quella di
politicanti e opinionisti progressisti. Tanti benpensanti escludono
che il futuro dell’Occidente possa essere così funesto. Non degnano
della minima […]
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